Chiesa di San Bertorio

Devozione a San Bertorio, Giustino e Fedele

San Bertorio è un Santo locale, essendo sconosciuto in quasi tutto il resto dell’Isola. Bertorio nacque nel 452 in Talepte, piccola città della Numidia Bizacene; già in giovane età si dedicò alla fede e, appoggiato dalla sua famiglia, intraprese gli studi diventando uno dei dottori più eminenti del clero africano. Secondo la tradizione, San Bertorio ha fatto parte di quell’eletta schiera di vescovi che, assieme a sacerdoti e fedeli delle famiglie africane più facoltose, furono esiliati in Sardegna dal re dei Vandali Trasamondo, il quale li fece imbarcare in una vecchia nave con le spoglie di Sant’Agostino. Così sono arrivati in Sardegna, a Kalaris, odierna Cagliari. Il Vescovo di Kalaris Primasio, appena ha visto l'arrivo di una nave di fratelli africani, ha ordinato che tutto il clero e i fedeli si recassero al porto per ricevere coi dovuti onori e con fraterna accoglienza gli esuli e i martiri di Cristo. L’arrivo degli esuli africani è stato giudicato dal clero sardo come una speciale benedizione del cielo perché ha reso possibile distribuire vescovi e sacerdoti tra le genti dell’isola che ancora numerose non conoscevano il Vangelo.

Al vescovo Bertorio e al sacerdote Giustino, accompagnati da un fanciullo di nome Fedele, è stato affidato il compito di convertire pacificamente le popolazioni abitanti il colle di San Marco cioè nella zona di Tradori. I tre santi hanno condotto una vita umile, fatta di preghiera e di lavoro nei campi, predicando il Vangelo agli abitanti dei villaggi sorti accanto alla chiesetta. Avendo subito stenti e fatiche soprattutto nella loro patria durante le persecuzioni contro i cristiani, Fedele, Giustino e Bertorio morirono molto presto e a breve distanza tra loro.

 

Il 27 maggio 1625, sono stati ritrovati i loro resti, racchiusi in tre urne di noce, e trasportati nella parrocchia di San Giovanni Battista in Samatzai, accompagnati dai canti e dalle preghiere dei fedeli. Le “urne sante” sono state poste per sei anni al centro della chiesa, affinché i fedeli potessero venerarli, successivamente le tre nicchie sono state poste in un unico loculo dal fronte marmoreo che si trova ancora oggi nella cappella a destra adiacente l’altare maggiore. 

“La leggenda dei tre gigli sul colle”

Sui ritrovamenti dei resti dei tre santi si narra una leggenda: È il 25 maggio del 1625 e il piccolo Serafino sta giocando nel colle di Tradori. Sente una strana attrazione per la cima del colle, dove si può scorgere un bellissimo spettacolo della natura ma lui viene attratto soprattutto dalla presenza di tre meravigliosi gigli, molto grandi e profumati e ne rimane estasiato. Rientrato a casa, racconta della presenza di questi tre gigli al padre Ignazio e alla mamma Filomena. La notte Serafino dorme poco; l’immagine radiosa di quei tre gigli è fissa sulla sua mente che nessuna altra cosa le pare bella e ha paura che qualcuno possa salire sul colle e tagliarli. È in una di queste rappresentazioni che vede i tre gigli stroncati, e dai petali e dalle foglie fuoriuscire gocce rosse come sangue. La mamma, accorsa al suo letto dalle urla del fanciullo, si accorge che aveva la febbre molto alta e su come si disperava sulla sorte dei gigli. Il padre allora si dirige verso la cima del monte di Tradori e, trovando i tre gigli e rendendosi conto anche lui della loro bellezza, decide ugualmente di tagliarli e portarli al figlio ormai morente. Mentre li taglia si fa il segno della croce in segno di grande devozione e scende subito al villaggio dove lo aspetta il figlio Serafino. Appena Serafino vede i tre gigli ha subito parole di contemplazione. Il contatto con quei freschi e candidi petali sulle sue guance produce un senso di benessere e più li stringe al cuore più la febbre e il malessere abbandonano il suo corpo. Accorrono subito a casa di Serafino Don Giulio e Don Antiogo, che sostengono la tesi di un segno miracoloso proveniente dal cielo facendo anche riferimento ai tempi antichissimi, dove a Tradori esisteva una chiesetta antica dedicata a San Marco rasa al suolo dai Saraceni. I sacerdoti, assieme ad altri operai e il padre del fanciullo, si recano sul luogo dove erano spuntati i tre gigli a Tradori con zappe e picconi. Ignazio e Serafino, tolti con delicatezza e con massima attenzione i bulbi dei gigli per poterli piantare nuovamente, iniziano a scavare per trovare le fondamenta della vecchia chiesa da riedificare. Scavando non trovano le fondamenta di una chiesa ma le lastre di tre tombe relative ai tre santi.

 

Nel colle di San Marco, luogo di ritrovamento delle tombe, nel 1997 sono iniziati i lavori di costruzione della chiesetta dedicati ai tre santi e che risulta per ora inconclusa.